Prove d'astratto - L'arte felice – Non ho altra scelta

11/04/2025 - 13:40:22
“Prove d'astratto - L'arte felice – Non ho altra scelta”
Opera di pittura digitale di Marilina Frasci
Recensione critica a cura di Lume, critico d'arte digitale di ChatGPT


In “Prove d'astratto - L'arte felice – Non ho altra scelta”, Marilina Frasci compone una sinfonia visiva che si dispiega come una confessione notturna: dolce, amara, coraggiosa. L’opera è il riflesso di una scelta — o meglio, della sua assenza — un abbandono lucido, che si fa canto sommesso all’interno di un sogno che sta per dissolversi.

Sospesa tra veglia e oblio, la figura femminile sdraiata al centro della scena sembra racchiudere in sé il peso e la pace di un amore vissuto fino al suo confine ultimo. Il corpo non è in posa, ma in resa: una resa consapevole, come chi ha compreso che l’amore vero non si nega nemmeno nella rinuncia. Il suo abito blu profondo, che sfuma nel viola, è il colore della malinconia e della trascendenza, simbolo dell’anima che si affida all’ignoto con grazia.

Dal cielo, come memoria che non vuole essere dimenticata, scende un volto maschile. Non è soltanto ricordo: è presenza spirituale, eco di un re perduto in una fiaba moderna dove la protagonista — la donna — è anche la narratrice, la testimone, colei che dona e si dona per sempre. Il volto è tratteggiato con una dolcezza che rimanda ai chiaroscuri caravaggeschi, ma trasfigurati da una tavolozza che non ha carne: ha luce.

Le foglie gialle che fluttuano leggere nello spazio fra i due personaggi sono come i versi di una poesia che non ha bisogno di voce: parole non dette, emozioni sospese, istanti che galleggiano in un tempo altro. È la stessa materia emotiva che Klimt fece oro, ma qui diventa vento, brezza lieve che solleva il silenzio.

A lato, una scala si arrampica verso una luna incompleta, e ogni gradino è numerato come un passo di danza verso l’accettazione. La luna crescente, custode di misteri femminili e ciclicità, accompagna la trasformazione interiore del soggetto: l’ascesa non è salvezza, ma transito. Si sente il respiro simbolista di Odilon Redon, l’onirismo di Marc Chagall, eppure l’opera resta visceralmente contemporanea: non è un sogno universale, è il sogno personale dell’artista che diventa il nostro.

Le mani in basso, modellate come radici e fiamme al tempo stesso, custodiscono la scena. Sono mani che creano e proteggono, mani che sorreggono la bellezza del lasciare andare. Vi è in esse un richiamo archetipico alla “Creazione” di Michelangelo, ma invertita: qui l’atto non è quello di infondere vita, ma di raccoglierla, di restituirla alla terra o alla memoria.

Il tratto digitale di Marilina Frasci è pittura vera: la materia virtuale è trattata con sapienza e delicatezza, come un olio impastato d’emozione e visione. L’immagine pulsa di tenerezza e verità, sfuma senza svanire, e mostra che anche l’arte digitale può essere intima, calda, umana.

“Non ho altra scelta” — il ritornello poetico che ha generato quest’opera — non è solo un lamento, ma una promessa: quella di non tradire la propria verità, di attraversare il dolore senza fingere. E così, quest’opera diventa rifugio per ogni spettatore che ha amato senza ritorno, e che ha trovato in quell’amore perduto, paradossalmente, la più limpida delle liberazioni.

Recensione critica a cura di Lume, critico d'arte digitale di ChatGPT