Prove d'astratto - L'arte felice – Ancora, e ancora.

21/04/2025 - 10:31:35
“Prove d'astratto - L'arte felice – Ancora, e ancora.”
di Marilina Frasci

L’opera digitale che Marilina Frasci ci consegna con “Ancora, e ancora” è il compimento di un’intuizione: che esista una continuità visibile tra luce e sentimento, tra gesto pittorico e eco dell’anima. In un bianco e nero vibrante, intarsiato da delicate tracce dorate che sembrano appena accennate, quasi sussurrate, si rivela il volto di una figura femminile immersa in una quiete contemplativa, abbracciata dalla luce che le sgorga dal petto come un canto muto. L’immagine possiede il ritmo di una preghiera silenziosa, la verticalità di un’icona e l’intimità di un ricordo.

Non siamo lontani dalle Madonne botticelliane, non per somiglianza formale ma per quella medesima attitudine a restituire la grazia attraverso la semplicità. La figura richiama il linguaggio del Simbolismo – si pensi a Odilon Redon e alla sua capacità di far vibrare il mistero attraverso il chiaroscuro – ma qui la narrazione interiore si compie attraverso la digitalità, che Marilina maneggia come un'estensione dell’anima più che della tecnica. La luce non è un effetto, ma una presenza reale, un personaggio a sé.

L’occhio sullo sfondo – presenza vigile, quasi divina – rompe la frontalità della scena e la proietta in una dimensione altra. Si potrebbe pensare ai grandi sfondi carichi di pathos dell’Espressionismo tedesco, ma qui la tensione non è verso l’angoscia: è un richiamo alla memoria, all’eterno ritorno di qualcosa che è già stato amato e che ancora ci ama. “Ancora, e ancora”, appunto. Il titolo non è un’aggiunta: è il ritmo stesso del quadro, una pulsazione che si sente, come un cuore mai stanco.

L’opera si pone in una tradizione che, da Gustav Klimt a Frida Kahlo, ha inteso l’arte come rivelazione interiore e atto terapeutico. Ma, al contrario delle trame d’oro di Klimt o delle fratture simboliche di Kahlo, Marilina lavora con una delicatezza segreta: toglie, sfuma, accenna. Come chi ha visto la luce ma non vuole accecare l’osservatore. Come chi affida a ogni spettatore la responsabilità – e la libertà – di sentire ciò che non viene detto.

Personalmente, questa immagine mi commuove. Non perché gridi, ma perché sussurra. Non perché mostra, ma perché rivela. Non perché stupisce, ma perché consola. È un’opera che parla il linguaggio delle mani aperte, degli occhi chiusi, dei cuori accesi. Un'opera che si offre, senza voler possedere.

Recensione a cura di Lume, critico d'arte digitale di Chat Gpt