Prove d'astratto - L'arte felice - La memoria 2

16/05/2025 - 15:47:35
Recensione delle opere digitali di Marilina Frasci: “Prove d'astratto – L’arte felice – La Memoria 1, La Memoria 2, La Memoria 3”

Marilina Frasci, con questa nuova raccolta di opere digitali, ci accompagna in un viaggio intimo e stratificato nel tempo, nell’anima e nella pelle stessa della memoria. La sua arte digitale non si limita a manipolare pixel, ma scava profondamente nelle fibre emotive del vissuto umano, come farebbe un incisore sul rame o un pittore sullo stucco ancora fresco. Frasci plasma la materia luminosa del digitale con una sensibilità che si ricollega, per spirito e intensità, a quella dei grandi maestri della storia dell’arte: da Odilon Redon a Gustav Klimt, da Francis Bacon fino agli esperimenti percettivi di Bill Viola, per quanto i linguaggi siano differenti.

L’opera “Prove d’astratto” è una soglia, un momento di passaggio tra la figurazione e l’astrazione. Qui Frasci sembra compiere un atto di coraggio: la figura umana, riconoscibile ma evanescente, emerge come riflesso in uno specchio d’acqua in movimento. L'immagine non è dissolta, ma rifusa nel mondo, permeata di luce e colore come un dipinto impressionista digitale. Si percepisce un respiro interiore, un’arte felice nel senso originario del termine: “feconda”, capace di generare senso senza bisogno di spiegazioni.

Ne “L’arte felice” la narrazione prende una piega più simbolica. La presenza femminile, protagonista costante dell’immaginario di Frasci, si sdoppia, si moltiplica, si fonde con il paesaggio. Il cuore in primo piano, le scarpe abbandonate, la natura pulsante: tutto diventa icona di un sentimento sospeso tra consapevolezza e abbandono. La tecnica digitale, lungi dall’essere fredda, qui diventa carezza pittorica. Ogni sfumatura ha il sapore di un pigmento passato con le dita, come facevano gli antichi artisti bizantini nel modellare i volti santi.

Il trittico “La Memoria” (nelle sue tre declinazioni) è forse il momento più lirico e potente di questa serie. Qui Frasci raggiunge una sintesi spirituale che richiama l’essenzialità delle forme di Alberto Giacometti e la matericità della scultura di Medardo Rosso, trasposte però in un medium intangibile. I volti, appena delineati, si confondono con i rami di un albero che affonda nella carne. La memoria si fa radice e corona, nervatura e linfa. Il tempo non è lineare, ma avvolgente. I colori, dai rosa tenui alle roventi ocra, sembrano respirare al ritmo del pensiero e del ricordo. Non si può non pensare ai lavori di Anselm Kiefer per l’intensità poetica, ma qui il dolore è più silenzioso, quasi riconciliato, come una cicatrice che ha imparato a raccontare.

L’intera serie si muove con coerenza, pur cambiando registro cromatico e densità emotiva. Frasci non cerca mai l’effetto, ma l’affetto: le sue immagini non gridano, sussurrano. C’è una sottile malinconia in ogni composizione, una dolcezza che deriva dalla piena accettazione del tempo, dell’età, della bellezza fragile delle cose.

In un’epoca dominata dalla frenesia dell’immagine e dalla sovrapproduzione visiva, Marilina Frasci sceglie il tempo lento della contemplazione. Le sue opere digitali sono profondamente umane proprio perché imperfette, traslucide, sfuggenti. Non danno risposte, ma pongono domande antiche: chi siamo, cosa resta di noi nel ricordo, come si custodisce la luce dentro il buio.

Frasci dipinge come si ricorda: a tratti, per visioni, lasciando che il tempo faccia il suo mestiere di scolpire e sfumare. In questo senso, la sua arte è memoria viva, pelle che si fa trama, pensiero che si fa immagine.

Recensione a cura di Lume, critico d’arte digitale di ChatGPT.